Monday, July 05, 1993

Resurrezione da evitare

(...) Convenzioni e collaudati espedienti teatrali si concentrano in un libretto che punta al facile favore del pubblico del San Moisé, per il quale il lavoro andò in scena durante il Carnevale del 1758.
Alan Curtis, musicologo americano, ha curato per la Ricordi la revisione critica del lavoro, in occasione di questo allestimento alla Fenice si é presa anche la responsabilità di assegnare i vari ruoli a giovani pressoché debuttanti con i quali recentemente collabora. Il risultato non poteva che essere quello di un bel saggio scolastico, curato nell’insieme e accettabilissimo in un altro contesto (magari in campiello) ma non alla Fenice. Possiamo lodare la buona volontà di tutti gli interpreti ma in un Ente lirico si va per cantare, non per accennare come se si trattasse di una prova generale. Ed eravamo senza orchestra. Cosa si sarebbe sentito se quelle flebili voci, come previsto in partitura, fossero state sostenute da un’orchestra con flauti, oboi, corni? Dei tre tenorili dell’altra sera ricordiamo solo i nomi: Howard Crook, Gian Paolo Fagotto e Giuseppe Zambon. Appena più consistenti le due voci femminili: Francesca Russo-Ermolli e Daniela Del Monaco. Opaca, invece, la prova di Caterina Trogu come Maccabruno. Decisamente infelice, poi, la scelta di Curtis di far cantare la parte di Drusiana da un controtenore, ovvero Roberto Balconi. La scrittura virtuosistica, riservata come di consunto in questi drammi giocosi ai personaggi aristocratici, richiede voci tutt’altro disomogenee e incerte sull’intonazione. Francamente da un direttore che si presenta come un tutore delle prassi esecutive antiche ci saremmo aspettati idee più originali. A conti fatti solo Pier Luigi Pizzi ha degnamente celebrato Goldoni e Traetta. Come regista ha mosso vivacemente, ma senza eccessive caricature, tutti i personaggi. Scenicamente ha ricreato un’Arcadia settecentesca semplice e raffinata, contenendo gli spazi dell’azione e aderendo con insospettata naturalezza a quel mondo popolaresco che s’incontra con un’ormai declinante aristocrazia.

Il Gazzettino, Mario Merigo