Friday, July 30, 1993

La Fenice della discordia

Stagione chiusa tra le polemiche
(…) Soltanto alla terza rappresentazione si è potuto conoscere il dramma giocoso composto da Traetta nel 1758 su libretto di Goldoni, ispirato molto liberamente a una figura della tradizione popolare.
(…) In questa esile vicenda Goldoni inserisce giochi di travestimenti e riconoscimenti (Buovo torna in veste di pellegrino ed è riconosciuto dal suo cavallo), troviamo la quiete di bucolici addii e fughe precipitose, seri tormenti d’amore e il buffonesco espediente della finta morte di Buovo che offrono al musicista un tenero sfondo pastorale e una varietà di situazioni, di personaggi e di “affetti” tra il serio e il buffo. Tra i libretti di Goldoni, quello del Buovo d’Antona rivela una funzionalità che trova conferma nella felice eleganza e nella scioltezza con cui Traetta sa cogliere gli spunti offerti dal testo.
Di Tommaso Traetta (1727-1779), compositore pugliese di formazione napoletana, sono finora state riprese prevalentemente opere serie, perché nel secondo Settecento fu uno dei più significativi protagonisti delle istanze di rinnovamento in questo ambito (accanto a Gluck ed altri), maggiormente in ombra è rimasta la sua produzione comica o semiseria, e ha quindi particolare significato la prima ripresa moderna del Buovo d’Antona, che rivela un musicista molto dotato anche in questo ambito, certamente uno degli autori cui potrà guardare con maggiore interesse Mozart.
Alan Curtis è il primo artefice di questa riscoperta come revisore della partitura e come direttore della rappresentazione veneziana, alla guida di una compagnia di giovani che è apparsa garbata ma assai fragile, e di cui citeremo Howard Crook (Buovo), Giuseppe Zambon e Caterina Trogu-Rohrich; disastrosa l’idea di Curtis di affidare a un controtenore la parte di Drusiana, il personaggio femminile più interessante, per i cui tormenti amorosi Traetta ha creato musica bellissima. Corretta, ma poco incisiva la direzione di Curtis; la regia, le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi offrivano un contributo elegante e rispettoso ma piuttosto distratto alla rinascita del Buovo d’Antona.

L’Unità, Paolo Petazzi

Thursday, July 08, 1993

Che monotono “Buovo d’Antona”

Alla Fenice la replica con l’orchestra
Abbiamo riascoltato Buovo d’Antona, di Tommaso Traetta, finalmente in scena con l’orchestra. Per il dramma giocoso goldoniano, il compositore “napoletano” aveva a disposizione una compagnia di canto di buon livello; la parte di Buovo fu scritta infatti per Piero Canevai mentre per la bella molinara Menichina Traetta aveva a disposizione Catenina Ristorini.
Le qualità vocali degli interpreti sono dunque alla base della scrittura musicale di un’opera che, seppur non propriamente un capolavoro, presenta pagine di nobile fattura e funzionali ad una drammaturgia che sfrutta collaudati espedienti. Bene ha fatto pertanto La Fenice a mettere in cartellone, in occasione del bicentenario goldoniano, un lavoro completamente dimenticato: le celebrazioni sono anche un momento di verifica.
Ma proprio perché Buovo d’Antona non é un capolavoro andava riproposto con interpreti in grado di valorizzarne i momenti più belli. Punti deboli dello spettacolo - ne abbiamo avuto una riprova anche l’altra sera - sono stati i giovani cantanti e soprattutto Alan Curtis.
Il musicologo americano ha optato per una piccola formazione orchestrale (più o meno una ventina di elementi) sicuramente vicina a quella utilizzata per la prima esecuzione del Buovo al San Moisè, ma l’ha diretta con estrema monotonia.
Mancavano, insomma colori espressivi e una vitalizzante ricchezza agogico-dinamica che rendesse giustizia al povero Traetta.
Unica conferma positiva l’allestimento di Pier Luigi Pizzi. Non più che cordiale l’accoglienza del pubblico.

Il Gazzettino, Mario Merigo

Breve visita di Traetta nell’ombra di Goldoni

Può capitare che le gerarchie s’invertano e per una volta sia il librettista a trarre dall’oblio il maestro compositore. Come è accaduto con questo Buovo d’Antona di Tommaso Traetta, che avrebbe continuato a dormire i suoi sonni se, per via del libretto, non fosse capitato sotto il fascio della luce che su Carlo Goldoni getta il bicentenario della morte, così misera e solitaria, in una Parigi impestata alla più criminale delle rivoluzioni. (...)
Aveva appena passato i cinquant’anni Carlo Goldoni quando, nel 1758, dovendo scrivere il libretto della seconda opera del carnevale andò a pescare il vecchio canovaccio di Buovo d’Antona, come fu trapiantato da noi intorno al trecento, uno dei tanti romanzi d’avventure germogliati nell’età cavalleresca in terra britanna e franco normanna. Se poi Goldoni scoprisse Traetta, o Traetta, che aveva appena passato i trent’anni si rivolgesse a lui, o l’accoppiamento fosse mestiere, come di solito, dell’impresario, non sappiamo. Traetta non scriveva e Goldoni, nel suo sussiego di arcinota firma, non si abbassò a parlare del trentenne che, seppure avesse al suo attivo un buon numero di opere buffe sulle scene di Napoli, come si legge in un giudizioso saggio di Carilda Steffan era ancora quasi sconosciuto altrove.
Questo dramma giocoso ebbe una sua diversa circolazione da Venezia a Bologna, da Torino a Barcellona e da Siviglia fino a Dresda, la capitale dove aveva regnato Hasse. Dopo il 1772 scomparve nel silenzio.
Tale sorte non meraviglia. Da trenta, da quarant’anni non mancò mai a queste cerimonie di resurrezione, persuaso che dalla polvere che copre il gran cimitero di parti e partiture, che prima osò scavare, con ardimento di vergine britanna, Vernon Lee, debba saltar fuori un giorno o l’altro, il capolavoro. E da trenta, quarant’anni assisto a malinconici ritorni nei violati avelli. Il capolavoro non c'è. Gluck nella sua generazione e Mozart, per tutte, hanno ucciso tutti gli altri, Mozart in special modo che, assiso alla fine dell'’età e dei due stili, tutto filtra tutto si appropria. C’è perfino, in questo dramma giocoso di Traetta, qualcosa che prelude all’angoscia di Barberina nelle Nozze di Figaro. Prelude si, ma poi basta.
(…) “Una stima singolare per la persona1ità di Traetta - scrisse Giorgio Vigo1o - persisteva presso gli studiosi, che spesso lo avvicinavano a Gluck per il rinnovato aspetto che egli diede alla decaduta opera del ‘700, irrobustendola con una struttura tragica, con alterno impiego di cori e danze, curando l’orchestra ed elaborandone lo strumentale con spirito progressivo, ma soprattutto imprimendole una maschia vigoria, che reagiva alle mollezza e alo volgare edonismo del teatro di allora. (…) Più ancora degli accennati motivi della “riforma” e degli elementi tecnici e strutturali, come a nostro parere, il carattere e il timbro umano della personalità di Traetta, che nell’Antigone si manifesta. Questo carattere si impone con una forza, una scura intensità di dolore, un velo quasi funebre di tristezza, che forse troverebbero motivazioni biografiche nella vita del musicista, se meglio la conoscessimo. Nell’Antigone si è verificata una di quelle singolari coincidenze di quegl’incontri elettivi col personaggio, che delle volte permettono a un artista quasi di confessarsi nella sua musica, di immettervi le stesse forze segrete della vita.”
Tale genio tragico non compare nel dramma giocoso goldoniano, che resta il prodotto medio del “buffo” settecentesco, qualche cosa che, dopo le Nozze di Figaro, di rado riesce a dirci parole ancor fresche.
Tutto é filato alla Fenice, in frigida correttezza. La premiata ditta Pizzi, costretta a rinunciare alle fide colonne, ha sfogliato l’album del villereccio fine settecento. Il revisore Alan Curtis ha diretto, con sobria competenza, l’orchestra che tornava nella sua buca dopo due giorni di sciopero della miglior tradizione italiana. Hanno cantato, nel vuoto imbambolato di una regia quasi inesistente, Caterina Trogu-Rohric, Roberto Balcon, Daniela Del Monaco, Howard Crook, Francesca Russo-Ermo1li, Gian Paolo Fagouo, Giuseppe Zambón. Non ho indicato i ruoli, per la buona ragione che nessuno li conosce e mal più li ricorderà. C’è anche un Lighting designer, chissà mai cosa fa, che si chiama Guido Levi.

Da Il Giornale

Monday, July 05, 1993

Resurrezione da evitare

(...) Convenzioni e collaudati espedienti teatrali si concentrano in un libretto che punta al facile favore del pubblico del San Moisé, per il quale il lavoro andò in scena durante il Carnevale del 1758.
Alan Curtis, musicologo americano, ha curato per la Ricordi la revisione critica del lavoro, in occasione di questo allestimento alla Fenice si é presa anche la responsabilità di assegnare i vari ruoli a giovani pressoché debuttanti con i quali recentemente collabora. Il risultato non poteva che essere quello di un bel saggio scolastico, curato nell’insieme e accettabilissimo in un altro contesto (magari in campiello) ma non alla Fenice. Possiamo lodare la buona volontà di tutti gli interpreti ma in un Ente lirico si va per cantare, non per accennare come se si trattasse di una prova generale. Ed eravamo senza orchestra. Cosa si sarebbe sentito se quelle flebili voci, come previsto in partitura, fossero state sostenute da un’orchestra con flauti, oboi, corni? Dei tre tenorili dell’altra sera ricordiamo solo i nomi: Howard Crook, Gian Paolo Fagotto e Giuseppe Zambon. Appena più consistenti le due voci femminili: Francesca Russo-Ermolli e Daniela Del Monaco. Opaca, invece, la prova di Caterina Trogu come Maccabruno. Decisamente infelice, poi, la scelta di Curtis di far cantare la parte di Drusiana da un controtenore, ovvero Roberto Balconi. La scrittura virtuosistica, riservata come di consunto in questi drammi giocosi ai personaggi aristocratici, richiede voci tutt’altro disomogenee e incerte sull’intonazione. Francamente da un direttore che si presenta come un tutore delle prassi esecutive antiche ci saremmo aspettati idee più originali. A conti fatti solo Pier Luigi Pizzi ha degnamente celebrato Goldoni e Traetta. Come regista ha mosso vivacemente, ma senza eccessive caricature, tutti i personaggi. Scenicamente ha ricreato un’Arcadia settecentesca semplice e raffinata, contenendo gli spazi dell’azione e aderendo con insospettata naturalezza a quel mondo popolaresco che s’incontra con un’ormai declinante aristocrazia.

Il Gazzettino, Mario Merigo

Traetta & Goldoni: che bella commedia.

Una rarità alla Fenice di Venezia
“Buovo d’Antona “, un’opera gustosa, scintillante: prima rappresentazione moderna con l’esemplare direzione di Alan Curtis. Ammirevole regia di Pizzi.
(…) Il senso e lo spirito della commedia (goldoniana) trovano ampi riscontri nella dottrina del musicista bitontino. Siamo di fronte ad una partitura piacevolissima, dalla scrittura virtuosistica ma anche ricca di una smagliante espressività melodica. Nella perfezione dei meccanismi, nella successione delle arie, eleganti, di affascinante dolcezza, quasi tutte di pregevole fattura, l’esperienza “seria” ha un ruolo non trascurabile nella rigorosa impostazione di quel tono aulico, appena velato di ironia, che alimenta il versante patetico e malinconico di due personaggi “anormali”, come Drusiana e Maccabruno, estranei alla verve della commedia.
Una prima importante, in piena estate, che la Fenice ha ideato con determinata convinzione. Al punto che non si è arresa di fronte ad uno sciopero degli addetti, mirante appunto a far saltare le prime due rappresentazioni dell’opera.
(...) Alan Curtis ha realizzato una edizione più che convincente, accurata, fiuto delle sue appassionate, esemplari ricerche su quell’importante periodo storico che, evidentemente, non sapeva di “attendere” Mozart.
Altro merito della Fenice é quello di aver selezionato un cast veramente eccellente, tutto di giovani. Nella parte en travesti del duca Maccabruno s’é ascoltata la voce ferma, splendida del soprano Caterina Trogu-Rohrich. L’americano Howard Crook è uno spigliato, versatile Buovo. Deliziosa la Ceechina di Fancesca Ruaso-Ermolli, ma non faremo torto agli altri quattro, accomunandoli in un elogio schietto e incondizionato: sono Roberto Balconi (un controtenore nelle vesti femminili della principessa Drusiana), Daniela Del Monaco (Menichina), Gian Paolo Fagotto (Capoccio), Giuseppe Zambon (Striglia).
Una firma prestigiosa, Pier Luigi Pizzi, per regia, scene e costumi. Lo spettacolo vive di una semplicità ammirevole, per la levità dei toni, dei colori, la ricchezza e lo scintillante dinamismo della gestualità. E quale puntualità delle invenzioni, dalla spiritosa scena dei falsi medici agli impertinenti movimenti del cavallo di cartapesta animato da bravissimi burattini.

Gazzetta del Mezzogiorno, Franco Chieco

Thursday, July 01, 1993

Opera e teatro estivi nel segno di Goldoni

Da Il Gazzettino
(...) tra l’incuriosito e il sorpreso, cantanti e tecnici affrontano l’opera “sconosciuta”. Alan Curtis, il direttore d’orchestra che ha la paternità della riscoperta del “Buovo” e un grande amore per traetta, racconta quello che si vede sulla scena come fosse la più normale delle cose. Che sinceramente non è. La donna che si vede là, con il fucile in mano, è un uomo nel testo, ma così voleva Traetta; mentre l’uomo, quel giovine con la barba che gli cresce anche dopo poche ore dall’averla rasa, con la gonna (...) è la donna della commedia. Perché? Curtis sorride: “Ma perché Goldoni prendeva in giro i nobili, vedeva le cose dalla parte del popolo. Io ho accentuato questa presa in giro di una donna, Drusiana, che non sa cosa vuole e chi vuole fino alla fine e che, per questo, viene punita.” Così drusiana è un ragazzone di 24 anni, all’esordio, controteneore. L’unico uomo che rappresenta un uomo è proprio Buovo d’Antona, il nobile costretto alla fuga, che poi torna e scopre che la donna che ama non ama lui, che fa il solito colpo di stato, che sposa la sua salvatrice, che spedisce l’incerta e incostante Drusiana nelle braccia dello spasimante vecchio e povero. Bel pasticcio vero? Metteteci la musica di Tommaso Traetta (ma guardate che Curtis sostiene che è un grande che nessuno ha ancora scoperto, perché scrisse musica vocale, e oggi si usa solo quella strumentale) e un libretto in quel bel linguaggio che fa morire dal ridere. (...)
Insomma sarà una rappresentazione certamente inconsueta, come la si voleva, con proposte di Pier Luigi Pizzi, regista, costumista e scenografo, che calca la mano con le vesti, prorpio sugli aspetti grotteschi della vicenda.
Antonella Federici